Divieto di Greenwashing: pubblicata la nuova direttiva UE.

Per sua natura, il marketing, inteso in senso ampio come promozione commerciale di beni e servizi, non può fare e meno di una certa dose di manipolazione delle informazioni offerte ai consumatori, per incoraggiarne la propensione all’acquisto e orientarne le scelte. Sui manuali di diritto si parla di “dolo buono”, mettendo l’accento, da un lato, sul sostanziale rispetto dei canoni di lealtà dell’attività di propaganda commerciale e dall’altro sulla generale capacità dei destinatari di discernere fra clamore pubblicitario e realtà fattuale. Questo non significa, come è noto, che tutte le pratiche commerciali siano lecite.

Con la locuzione pratiche commerciali sleali si indicano i comportamenti contrari agli obblighi imposti ai soggetti economici dalla diligenza professionale e idonei a condizionare, falsandole, le valutazioni su cui ogni consumatore fonda la propria volontà di acquistare un determinato prodotto invece di un altro.

Tali attività comprendono anche le tecniche di comunicazione e di marketing definite greenwashing, che mirano a trarre un vantaggio sleale dalla crescente domanda di prodotti e servizi a basso impatto ambientale, accendendo i riflettori su azioni che, in realtà, non sono autentiche, ma vengono promosse al solo scopo di presentare il produttore/fornitore come soggetto attento alla salvaguardia del Pianeta, alla sostenibilità e all’equità.

Il neologismo greenwashing nasce come gioco di parole prodotto dalla fusione dell’aggettivo “green” (“verde”, nel senso di ecologico) e dal termine “whitewashing” (letteralmente “dare una mano di bianco”, inteso per metafora come “nascondere”, “ripulire”) e indica il fenomeno, non sempre lecito, nel quale imprese non certo virtuose o di non specchiata reputazione ambientalista “ripuliscono” il proprio brand attraverso azioni di propaganda o specifiche strategie di marketing finalizzate a esaltarne, in modo tutt’altro che trasparente, la pretesa attenzione ai temi ambientali.

Nell’Unione Europea le pratiche commerciali sleali sono disciplinate dalla direttiva 2005/29/CE, aggiornata con la direttiva 2019/2161, che si prefigge di contrastare sia quelle ingannevoli (articoli 6 e 7) sia quelle aggressive, caratterizzate dall’uso di coercizione e influenza indebita (articoli 8 e 9). Inoltre, l’allegato I della direttiva 2005/29/CE contiene un elenco di pratiche commerciali che sono vietate in ogni caso (la così detta «black list»).

La Direttiva2005/29/CE ha rappresentato sino ad oggi il corpo normativo volto a contrastare il greenwashing prevedendo che: i) le dichiarazioni ecologiche devono essere presentate in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, al fine di assicurare che i consumatori non siano indotti in errore; ii) i professionisti devono disporre di prove a sostegno delle loro dichiarazioni.

In Italia, a livello nazionale, il Codice del Consumo tutela i consumatori dalle asserzioni ambientali e ingannevoli attraverso l’ art 20 (Divieto di pratiche commerciali scorrette), l’art. 21 (Azioni ed omissioni ingannevoli); l’art. 23 (Black List). Quest’ultimo, in particolare, considera sempre proibite: a) la falsa informazione da parte del professionista di essere firmatario di un codice di condotta, b) la falsa esibizione di un marchio di qualità o fiducia, c) la falsa affermazione che un codice di condotta abbia ricevuto l’approvazione di un organismo pubblico…).

Infine, anche il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, all’art. 12 prevede che: “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”.

Nonostante l’attuale quadro di protezione dei consumatori dell’UE, le pratiche commerciali sleali continuano a dominare il rapporto tra imprese e clienti privati. Già nel 2020, uno studio della Commissione europea (Environmental claims in the EU – Inventory and reliability assessment) evidenziò come il 23% dei messaggi pubblicitari di prodotti e servizi pubblicizzati sul web contenesse almeno un claim potenzialmente fuorviante.

Per rispondere a un’esigenza di urgente aggiornamento normativo, il 6 marzo 2024 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la Direttiva (UE) 2024/825 del 28 febbraio 2024, che punta i riflettori sulla responsabilizzazione dei consumatori nella la transizione verde, mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.

La Direttiva ha lo scopo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, garantendo un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente e agevolando i progressi nella transizione verde. In quest’ottica, è stato ritenuto essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate, così da contribuire materialmente all’affermazione di modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica, specularmente, che gli operatori economici devono fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili, assumendosene la responsabilità. Così, nella normativa dell’Unione in materia di tutela dei consumatori sono state introdotte specifiche norme di contrasto delle pratiche commerciali sleali idonee a ingannare i consumatori e tendenti a impedire loro di compiere scelte di consumo sostenibili. Parliamo, ad esempio, delle pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, delle asserzioni ambientali ingannevoli (greenwashing), delle informazioni sulle caratteristiche sociali di prodotti e imprese o di marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili. Come chiarito dalla relazione illustrativa della Direttiva, le nuove norme consentiranno agli organi nazionali competenti di far fronte efficacemente a tali pratiche.

La Direttiva(UE) 2024/825, in particolare, modifica la direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali e la direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

Quanto alla direttiva 2005/29/CE, all’elenco delle pratiche commerciali vietate perché considerate sleali viene aggiunta una serie di strategie di marketing quali:

  1. l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche;
  2. l’uso di asserzioni ambientali generiche: espressioni come «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «verde», «amico della natura», «ecologico», «rispettoso dal punto di vista del clima», «che salvaguarda l’ambiente», «biodegradabile», che sono lecite soltanto qualora l’operatore dimostri che le prestazioni ambientali rivendicate siano effettivamente rispettate.
  3. formulazione di asserzioni ambientali su un prodotto nel suo complesso o sull’attività dell’operatore economico nel suo complesso, quando, in realtà, esse riguardano soltanto un determinato aspetto del prodotto o un elemento dell’attività;
  4. dichiarare che un prodotto abbia un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra, facendo però riferimento non all’intero ciclo di vita del bene considerato, ma a “compensazioni” delle emissioni in questione.

La Direttiva (UE) 2024/825 interviene anche sulle pratiche associate all’obsolescenza precoce dei prodotti, comprese le pratiche di obsolescenza programmata, intesa come politica commerciale imperniata sulla pianificazione o sulla progettazione deliberata di un prodotto con durata di vita limitata, affinché giunga prematuramente a obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo o dopo un’intensità d’uso predeterminata.

A tale scopo, è stata ricondotta nel novero delle pratiche commerciali sleali (di cui all’Allegato 1 della Direttiva 2005/29/CE) la mancata informazione ai consumatori che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso di contenuti digitali o servizi digitali.

Infine, la Direttiva (UE) 2024/825 interviene, modificando la Direttiva 2011/83/UE per garantire ai consumatori, prima della conclusione del contratto, informazioni specifiche sulla durabilità del prodotto, sulla sua riparabilità e sulla disponibilità di aggiornamenti anche nel caso di conclusione di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dai locali commerciali tramite mezzi elettronici. In particolare, gli operatori economici saranno tenuti a informare i consumatori dell’esistenza e della durata di eventuali garanzie commerciali convenzionali sia della garanzia legale di conformità.

La Direttiva (UE) 2024/825 è entrata in vigore il 26 marzo 2024 e dovrà essere recepita dagli Stati dell’Unione europea entro il 27 settembre 2026: solo allora il contrasto alle pratiche commerciali sleali

Alessandro Facchino ed Enzo Cardone