La clausola che impone a un giovane atleta di versare parte dei redditi se diventa professionista può essere abusiva.
È abusiva una clausola che obbliga un giovane atleta a versare, per quindici anni, il 10% dei suoi futuri guadagni a una società che offre agli atleti un insieme di servizi di supporto allo sviluppo delle loro capacità professionali e della loro carriera?
Questa è la domanda che la Corte Suprema lettone ha posto, tramite lo strumento del rinvio pregiudiziale, alla Corte di Giustizia UE, chiamata ad interpretare, con riferimento al caso concreto, la direttiva 93/13/CEE in tema di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. La Corte di Giustizia UE si è pronunciata con la sentenza n. 365 del 20 marzo 2025.
Per meglio comprendere la portata del suddetto quesito, è necessario ripercorrere brevemente i fatti che hanno dato adito alla vicenda giudiziale in esame.
Nel 2009, una giovane promessa del basket, all’epoca diciasettenne, rappresentato dai suoi genitori, ha concluso un contratto con un’impresa lettone in forza del quale:
- la società avrebbe dovuto offrire all’atleta una pluralità di servizi, quali, la formazione e l’allenamento, la medicina dello sport e l’accompagnamento da parte di uno psicologo dello sport, le misure di sostegno alla carriera, la conclusione di contratti tra l’atleta e le società sportive, il marketing, i servizi giuridici e la contabilità;
- a titolo di corrispettivo, l’atleta avrebbe versato, qualora fosse divenuto un professionista, una remunerazione pari al 10% di tutti i redditi netti (provenienti dagli eventi di gioco, pubblicitari, di marketing e mediatici connessi allo sport) che avrebbe percepito durante la vigenza del contratto, a condizione che tali redditi ammontassero almeno a euro 1.500 mensili.
Il suddetto contratto è stato stipulato per una durata di quindici anni, dal 14 gennaio 2009 al 14 gennaio 2024.
Nel mese di giugno 2020, la società – ritenendo che il corrispettivo pattuito non fosse stato correttamente versato – ha agito avanti ai giudici lettoni per sentire condannare l’atleta, ormai divenuto un giocatore professionista di pallacanestro, al pagamento, a titolo di corrispettivo, di euro 1.663.777,99, pari al 10% dei redditi derivanti da contratti conclusi con società sportive. La domanda è stata respinta sia dal giudice di primo grado sia dal giudice d’appello. Entrambi hanno rilevato l’abusività della clausola in questione ai sensi della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. A fronte delle suddette pronunce, l’impresa ha proposto ricorso avanti all’Augustaka tiesa (Corte suprema lettone) che, a sua volta, ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia UE una pluralità di questioni pregiudiziali inerenti all’interpretazione della direttiva 93/13/CEE, dirimente per la decisione del caso de quo.
Segnatamente, la Corte ha esaminato i seguenti aspetti: i) la qualità dei contraenti, ii) l’ambito di applicazione della direttiva 93/13/CEE e iii) la natura – potenzialmente abusiva – della clausola. La Corte di Giustizia UE ha, in primo luogo, chiarito che la qualità di “consumatore” di una persona dev’essere valutata, in maniera oggettiva, a prescindere dalle conoscenze concrete dell’interessato, al momento della conclusione del contratto. Non rileva né il fatto che l’atleta è divenuto un giocatore professionista né, tantomeno, eventuali conoscenze importanti che hanno facilitato l’acquisizione della qualifica di atleta professionista. La giovane promessa della pallacanestro aveva, al momento della conclusione del contratto, la qualità di consumatore, pertanto, il contratto ricade entro l’ambito di applicazione della direttiva 93/13/CEE.
Ciò posto, occorre valutare se, secondo una corretta interpretazione della direttiva, la clausola in esame è (o meno) abusiva. Come previsto dalla direttiva, è precluso qualsiasi esame in merito all’abusività delle clausole relative all’oggetto principale del contratto, alla perequazione tra il prezzo e la remunerazione e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, salvo che la clausola non sia redatta in maniera non chiara e comprensibile. Nel caso di specie, posto che al consumatore (il giovane atleta) non erano state fornite le informazioni necessarie per permettere una valutazione consapevole delle conseguenze economiche del suo impegno, la Corte ha ritenuto che la clausola non fosse redatta in modo chiaro e comprensibile e fosse, perciò, possibile valutare la sua eventuale abusività.
Ai sensi dell’art. 3 della direttiva, una clausola che non è stata oggetto di negoziato individuale è abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. La Corte è quindi tenuta a vagliare, avendo come parametro le norme nazionali, i) la possibile violazione del requisito della buona fede e ii) l’eventuale squilibrio a danno del consumatore. Nel caso di specie, posto che la clausola non stabilisce un nesso tra il valore della prestazione fornita e il suo costo per il consumatore, non vi è alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti. Ciononostante, ai fini della valutazione del carattere abusivo di una clausola occorre altresì valorizzare la minore età del consumatore al momento della conclusione del contratto. Pertanto, può essere considerata abusiva una clausola che prevede che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un giovane atleta minorenne si impegna a versare il 10% dei redditi che percepirà nei quindici anni successivi alla conclusione del contratto.
Infine, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte, una volta accertata l’eventuale abusività della clausola, il giudice nazionale non può ricondurre ad equilibrio il contratto e ridurre l’importo dovuto dal consumatore fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi. Ciò, infatti, priverebbe di valore l’art. 6 della direttiva, secondo cui, le clausole abusive non vincolano il consumatore e il contratto resta valido secondo i medesimi termini, sempre che possa sussistere anche senza le clausole abusive, che devono essere considerate come mai esistite.
Non resta, quindi, che attendere la decisione dalla Suprema Corte lettone – che dovrà decidere applicando l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE – per comprendere se la clausola in esame è o meno effettivamente abusiva.
Avv. Giulia Re