Impatto ambientale della produzione e responsabilità sociale delle imprese.

L’inquinamento industriale in Europa sta diminuendo. Secondo l’ultimo report dell’EEA (European Environment Agency), tra il 2007 e il 2017, le emissioni complessive di ossidi di zolfo (SOx) sono diminuite del 54 %, quelle di ossidi di azoto (NOx) di oltre un terzo e i gas a effetto serra derivanti dall’industria – comprese le centrali elettriche – del 12 %.

La tendenza è sicuramente frutto di normative ambientali sempre più rigorose, di miglioramenti nell’efficienza energetica, della transizione verso processi produttivi meno inquinanti e verso sistemi facoltativi di riduzione dell’impatto ambientale.

Ciò non significa che l’industria abbia improvvisamente smesso di inquinare. Al contrario, la transizione verso l’inquinamento zero resta una sfida ambiziosa, che l’Unione Europea ha accettato, lanciando il nuovo programma sugli obiettivi ambientali e climatici del Green Deal europeo.

Oggi, la politica dell’Unione in materia di ambiente si fonda sui principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione dell’inquinamento alla fonte, nonché sul principio “chi inquina paga”. Il principio di precauzione è uno strumento di gestione dei rischi cui è possibile ricorrere in caso di incertezza scientifica in merito a un rischio presunto per la salute umana o per l’ambiente derivante da una determinata azione o politica.

Il concetto di Responsabilità Ambientale deriva dal Polluter Pays Principle (PPP o “chi inquina paga”) attuato dalla direttiva sulla responsabilità ambientale, finalizzata a prevenire o riparare il danno ambientale alle specie e agli habitat naturali protetti, all’acqua e al suolo. Gli operatori che esercitano attività professionali o di impresa come il trasporto di sostanze pericolose, o attività che comportano lo scarico in acqua, devono adottare misure preventive in caso di minaccia imminente per l’ambiente. Se il danno si verifica, essi hanno l’obbligo di porvi rimedio, adottando a proprie spese le misure necessarie. Il campo di applicazione della direttiva è stato ampliato per includere la gestione dei rifiuti di estrazione, l’esercizio dei siti di stoccaggio geologico e la sicurezza delle operazioni offshore nel settore degli idrocarburi.

Anche le imprese, negli ultimi decenni, hanno compreso che la sopravvivenza e il successo sui mercati internazionali non dipendono solo da buone performance in termini di profitto, ma anche dall’assolvimento di impegni di natura sociale.

Questo è dovuto al mutamento del quadro sociale e culturale di riferimento, nel quale l’opinione pubblica è sempre meno disposta a delegare alla politica temi socialmente sempre più sensibili, facendo così nascere una nuova “cultura di impresa” denominata Corporate Social Responsibility (CSR, o Responsabilità Sociale d’impresa), definita come “la responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società”.

Dalla combinazione tra le indicazioni contenute nello standard ISO 26000 e negli atti dell’Unione europea, vengono quindi individuati i tratti essenziali della CSR.

Innanzitutto, la Comunicazione della Commissione europea del 25 ottobre 2011 richiede alle imprese di “mettere in atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori […] nella loro strategia di base”. Questo significa che ogni impresa dovrebbe integrare il concetto di responsabilità nelle proprie strategie. In una più recente definizione – contenuta nelle conclusioni generali del Forum europeo multi-stakeholder sulla CSR – è stato formulato l’obiettivo dell’incorporazione della responsabilità sociale nel DNA delle imprese, così che essa diventi elemento imprescindibile dell’organizzazione aziendale. In tal modo, non solo si eviteranno (o mitigheranno) i possibili effetti avversi dell’attività economica, ma sarà anche possibile generare una “esternalità positiva” condiviso che ricada sia sugli azionisti e gli altri soggetti interessati sia sulla società in generale.

Le “regole” della CSR – derivanti in larga parte da linee guida, principi e raccomandazioni, cioè da fonti di soft law, giuridicamente non vincolanti – svolgono una funzione di arricchimento e rafforzamento “caratteriale” delle imprese, la cui responsabilità sociale viene considerata come azione volontaria, che, prescindendo dagli obblighi legislativi, le porta a garantire gli interessi di tutti i soggetti interessati dagli effetti della loro attività, anche attraverso azioni che vadano oltre gli obiettivi o requisiti minimi previsti dalle leggi vigenti.

In Italia la tutela dell’ambiente ha trovato riconoscimento nella Costituzione. Il 22 febbraio 2022, infatti, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge costituzionale n. 1/2022, che, modificando gli articoli 9 e 41 della Costituzione, sancisce il riconoscimento dell’ambiente quale bene costituzionalmente tutelato. Il “nuovo” articolo 9 della Costituzione non tutela più soltanto il paesaggio, ma anche l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, mentre l’articolo 41 ora prevede che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente. Il Legislatore, dunque, ha sostanzialmente riscritto i rapporti tra ambiente, proprietà privata e libertà di impresa, attribuendo centralità alle questioni ambientali. La libera iniziativa economica continua a essere tutelata dalla nostra Carta fondamentale, ma deve ora essere bilanciata dalla tutela ambientale.

In relazione al concreto di responsabilità sociale, si sono sviluppati modelli di gestione aziendale innovativi, legati al tema dell’etica: un insieme di regole e procedure definiti dai così detti standard internazionali, che le imprese possono adottare volontariamente, al fine di migliorare l’impatto ecologico della propria attività. In sostanza, si tratta di un corpus di norme pensate per garantire che l’attività aziendale si attenga ai principi di responsabilità sociale. Gli standard internazionali stabiliscono soglie minime da rispettare e offrono indicazioni per una gestione corretta di particolari aree o funzioni e impegnano l’azienda a rispettarle. Il riferimento è ai c.d. Sistemi di Gestione Ambientale (SGA), redatti uniformemente allo standard internazionale UNI EN ISO 14001, ovvero conformemente al Regolamento europeo EMAS (Econo-management and Audit Scheme).

Ad avviso di chi scrive, l’adozione del “Modello 231”, in quanto s sistema di gestione del rischio di reato (facente parte del sistema di controllo interno), si presta all’integrazione con i principi e i protocolli di cui stiamo parlando.

Come è stato correttamente rilevato da alcuni autori, l’adozione da parte delle imprese di un codice di comportamento in linea con il D.lgs.231/2001 è un passo diverso dall’avvio di un processo negoziale interno all’impresa, che si concluda con l’adozione volontaria di un codice etico condiviso da tutti gli stakeholder.

Nel primo caso, il rispetto del codice di condotta è legato alla legal compliance, vale a dire alla forza deterrente delle sanzioni prevista dalla normativa, nel secondo, invece, l’adozione del codice etico, e soprattutto il rispetto delle prescrizioni in esso contenute, sono assistiti non dalla forza coercitiva dell’ordinamento giuridico, ma dalla ethics compliance: l’adesione alla norma etica per condivisione dei suoi valori.

L’obiettivo posto dal Green Deal sulla neutralità climatica entro il 2050, impone al nostro Paese un ampio programma di investimenti, volto a decarbonizzare il comparto energetico, ridefinire il settore dei trasporti, ridurre drasticamente le emissioni inquinanti, potenziare le energie rinnovabili, aumentare l’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati e degli insediamenti produttivi, implementare la gestione integrata delle acque e dei rifiuti, promuovere la circular economy e una serie di misure per accrescere la resilienza ai cambiamenti climatici. In questo scenario, l’attività di impresa sarà valutata attraverso una pluralità di indicatori, che comprenderanno il rispetto delle regole di responsabilità ambientale e sociale. La capacità delle imprese di innestare spontaneamente tali principi nel proprio DNA ne definirà lo sviluppo, il successo e, in ultima analisi, il futuro.

Avv. ti Alessandro Facchino ed Enzo Cardone