I rischi dell’impiego dell’intelligenza artificiale nel mercato. La “concorrenza” algoritmica.

Cresce ogni anno il numero dei procedimenti avviati, davanti ai tribunali e alle autorità garanti di diversi paesi, per salvaguardare diritti e interessi dei consumatori contro le multinazionali dei servizi digitali in rete, accusate di pratiche di esclusione, di abuso di posizione dominante e di alterare il libero gioco della concorrenza per mezzo di fusioni e acquisizioni.

I consumatori hanno interesse a una corretta “concorrenza algoritmica”, ovvero a non essere soggetti dello sfruttamento di posizioni dominanti sul mercato, soprattutto da parte di operatori che controllano grandi quantità di dati e di tecnologie avanzate.

Da diversi anni, si assiste al crescente impiego di algoritmi in grado di generare automaticamente il prezzo di beni e servizi offerti dalle imprese, di modificarli – al variare delle condizioni di mercato – in maniera estremamente rapida e frequente, al fine di garantire la massimizzazione dei profitti. Si tratta del dynamic pricing (o tariffazione dinamica), fenomeno tipico di alcuni mercati, in particolare quello del trasporto aereo, delle prenotazioni alberghiere online e, più in generale, del commercio elettronico su piattaforme digitali.

Gli algoritmi di prycing possono agevolare le pratiche di “carello” in diversi modi: i) favorendo il raggiungimento e il mantenimento di intese anticoncorrenziali sui prezzi, assicurando il costante monitoraggio del rispetto dell’accordo da parte dei concorrenti e consentendo di reagire immediatamente ad eventuali violazioni altrui, garantiscono la stabilità del cartello; ii) garantendo, specie se più concorrenti usano il medesimo algoritmo di prezzo, lo scambio di informazioni strategiche sino ad integrare una pratica concordata vietata; iii) dando luogo, anche in totale assenza di contatti tra concorrenti, a forme di collusione tacita in mercati (come quelli meno concentrati) nei quali altrimenti sarebbe a dir poco difficile il raggiungimento di equilibri collusivi senza alcuna forma di concertazione tra imprese; iv) generando – in uno scenario futuristico, in cui operino algoritmi dotati di elevati livelli di intelligenza artificiale – una collusione “intenzionalmente” tra loro senza che sia stata programmazione o istruzione da parte dell’uomo[1].

Per rispondere alle pratiche commerciali scorrette e alle distorsioni della concorrenza da parte delle Big Tech, la risposta della UE è stata l’introduzione del Digital Markets Act (DMA), che prevede obblighi e divieti per le grandi piattaforme così dette “gatekeeper”, intermediarie tra gli utenti finali e chi offre contenuti e servizi nella rete. Pur essendo largamente ispirato al diritto della concorrenza, il DMA costituisce un corpo normativo ben distinto dalle norme antitrust europee (che sono state “travasato” in singole leggi statali): il suo obiettivo è di creare regole sovranazionali comuni idonee a regolamentare le condotte dei grandi attori dei mercati digitali.

Avv.ti Alessandro Facchino ed Enzo Cardone