Una (nuova) tutela al figlio nato tramite il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero da una coppia di donne.

La sentenza n. 68/2025 della Corte Costituzionale.

L’entrata in vigore nel nostro ordinamento della legge sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita (“p.m.a.”, legge n. 40/2004) ha “istituito” due diverse figure di genitore: quella del genitore “biologico”, legato al figlio geneticamente, e quella del genitore “intenzionale”, ossia di colui che abbia prestato il proprio consenso al ricorso a tali pratiche.

In attuazione dei principi di natura costituzionale e sovranazionale di tutela dell’identità del minore, di uguaglianza e di non discriminazione, la normativa citata mira ad assicurare che il minore nato grazie al ricorso a tali tecniche goda delle medesime garanzie sancite per il minore nato da procreazione “naturale”: su tutte, quella del riconoscimento dello stato di figlio nei confronti di entrambi i genitori, ossia non solo, ovviamente, di quello “biologico”, ma anche di quello “intenzionale” (artt. 8 e 9, L. 40/2004).

L’accesso alle pratiche di fecondazione assistita richiede tuttavia la presenza di determinati requisiti, tra cui la diversità di sesso dei due genitori.

Per tale motivo, coppie dello stesso sesso (c.d. coppie “omogenitoriali”) che desiderino avere un figlio sono “obbligate” a ricorrere a pratiche di p.m.a. all’estero, instaurando poi in Italia il rapporto di filiazione tramite gli strumenti presenti nel nostro ordinamento, su tutti, l’adozione “in casi particolari” del figlio da parte del genitore “intenzionale” (ex art. 44, L. 184/83).

Come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento, tale mezzo risulta alcune volte inidoneo a garantire pienamente sia il legame tra il genitore intenzionale e il minore, sia lo status di figlio di quest’ultimo.

Sulla scorta di precedenti pronunce, la sentenza n. 68 del 2025 della Corte Costituzionale ha così rafforzato lo status del minore nato tramite il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero da una coppia di donne.

Il caso che ha condotto il Tribunale di Lucca a sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della Legge n. 40/2004, riguardava una causa promossa da una coppia di donne che aveva fatto ricorso, all’estero, a tecniche di fecondazione assistita. Il bambino, nato in Italia, era stato iscritto al registro anagrafico come figlio di entrambe le genitrici (quella “biologica”, che lo aveva partorito, e quella “intenzionale”, che aveva prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita). A seguito dell’iscrizione nel registro, il Pubblico Ministero aveva impugnato l’atto di iscrizione perché contrastante con la normativa vigente, che, fino a quel momento, non consentiva al figlio nato da una coppia di donne tramite ricorso a tecniche di p.m.a. all’estero di acquisire lo status di figlio riconosciuto (anche) della madre intenzionale.

La Corte Costituzione ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 8  e 9 L. 240/2004 nella parte in cui tale ultima possibilità veniva esclusa.

La Corte, sulla base di alcuni solidi pilastri già enunciati dalla precedente giurisprudenza,  ha ribadito che: (i) la genitorialità discenda da un “atto di assunzione di responsabilità”, e ciò sia nella procreazione naturale, sia in quella assistita. Il nostro ordinamento, come evidenziato dalla Corte, non contiene infatti una definizione di “genitore”, ma si preoccupa esclusivamente di stabilire quali siano i doveri inderogabili di ogni genitore (di qualunque “tipo”) nei confronti del proprio figlio; (ii) infine, richiamando il principio del “miglior interesse del minore”, ha affermato che è  interesse primario del minore l’acquisizione dello status di figlio riconosciuto, oltre che della madre biologica, anche della madre intenzionale.

Alla stregua di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato, altresì, l’inidoneità dell’istituto dell’adozione in casi particolari a tutelare a pieno il minore nei confronti della madre intenzionale, per varie ragioni: l’iniziativa di avviare la procedura di adozione è rimessa esclusivamente a quest’ultima, ha costi notevoli, una durata lunga e non predeterminata, fattori che conferiscono all’acquisizione dello status giuridico di figlio nei confronti del genitore intenzionale un’inaccettabile alea di “imprevedibilità” e “incertezza”.

La sentenza della Corte Costituzionale, rappresenta senz’altro una decisione storica, che si inserisce all’interno di un filone giurisprudenziale sempre più sensibile all’esigenza di una riforma del diritto di famiglia, capace di rappresentare le nuove esigenze e l’evoluzione delle strutture famigliari che compongono oggi la nostra società.

Dott. Angelo Infantino

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